Strategia costruttiva

COME E’ STATO COSTRUITO IL COLOSSEO
Riporto qui l’intero capitolo sul concetto esecutivo della costruzione del Colosseo – purtroppo non posso fare riferimento alle immagini originali – (da Giuseppe Cozzo, Il Colosseo – Fratelli Palombi Editori – Roma, 1971).  La stampa qui sotto è di Giuseppe Vasi.

Il concetto esecutivo dei lavori

In un computo approssimativo degli operai necessari alla costruzione dell’edificio anfiteatrale, nel breve periodo che risulta dai documenti storici, fu constatato che il loro numero sarebbe stato così grande da non rendere possibile la loro contemporanea occupazione nella superficie dell’anfiteatro.
Vediamo invece come questo fu possibile.
Nell’esaminare le strutture dei monumento, ho portato la mia attenzione specialmente sulla singolare disposizione di alcuni pilastri di travertino inseriti nel corpo dei muri radiali. Tali pilastri erano stati notati anche dallo Choisy senza però che esso avesse potuto stabilire la funzione a loro effettivamente assegnata.

Alcune fasi della costruzione

La fig. 14 rappresenta la pianta dell’edificio, divisa in quattro settori, ognuno dei quali corrisponde ad un piano ed ordine diverso, in modo da offrirci, particolarmente, l’esatta distribuzione delle strutture in travertino, distinte con la tinta più scura, in tutto l’edificio anfiteatrale. Vediamo così nel piano terreno, che i muri radiali, i quali partendo dall’ambulacro esterno vanno verso l’arena, contengono inseriti, nella parte massiva quattro pilastri di travertino, corrispondenti ai numeri 3-4-5-6 della pianta stessa.

I pilastri di travertino

Il riempimento tra questi quattro pilastri, che raggiungono l’altezza dei secondo ordine per terminare al disotto della cavea, è stato ottenuto, per il piano terreno, con opus quadrato di tufo, e per il secondo ordine con conglomerato cementizio a paramento di semilateres.

In questi muri radiali i pilastri di travertino sono collegati, alla sommità, da grossi arconi di mattoni bipedali, cioè dell’altezza di circa 60 centimetri, situati in modo da rendere possibile la costruzione di tante volte rampanti, che nel loro complesso costituiscono il grande imbuto o cavea destinata a sostenere le gradinate di marmo per gli spettatori. Ciò è evidente nella fig. 15 in cui risalta questo differente imposto degli arconi, necessario alla costruzione della sovrapposta volta a botte inclinata, che è uno degli 80 elementi costitutivi della grande cavea dell’anfiteatro.

Anche nell’altra fig. 16 che rappresenta un muro radiale a cui manca un pilastro di travertino, in corrispondenza della ringhiera, asportato vandalicamente, e sostituito di recente nell’opera di risarcimento con un pilastro laterizio, sono evidenti i due arconi e la soprastante volta a botte inclinata.

Ora quasi tutti questi arconi hanno una singolare disposizione esterna; il modo appunto con cui terminano a ridosso dello spigolo dei pilastri di travertino li farebbe ritenere completamente mancanti di un piano d’imposto. Se questo fosse effettivamente avvenuto, l’impiego di questi archi e dei corrispondenti pilastri di travertino su cui terminavano, non avrebbe trovato giustificazione.

Invece un’indagine accurata, fatta dove l’arco è scomparso, o dove manca un tratto dei paramento, mi ha rivelato la esistenza di un pulvino d’imposta, emergente dai lati di uno dei conci di travertino situati nella parte alta di ciascun pilastro; questo pulvino interno di imposta mascherato dal paramento esterno assicurava all’arcone stesso l’appoggio e la stabilità.

La fig. 17 ci mostra schematicamente il pulvino di un pilastro, ed il tratto di arcone che vi insiste e l’altra fig. 18 la riproduzione di un concio ancora in opera con il suo rozzo pulvino d’imposto.

A questa constatazione si è poi aggiunta l’altra, secondo la quale le strutture in opus quadrato di tufo e quelle superiori in opera laterizia, fig. 19-20, di riempimento tra i pilastri di travertino 3-4-5-6 e che insieme a questi costituiscono le pareti radiali dell’anfiteatro, si possono considerare come completamente indipendenti dai pilastri stessi e dagli arconi superiori, e quindi anche costruiti dopo di essi, in un secondo tempo. Questa possibilità è resa più evidente dalla grande facilità con cui si può lavorare il tufo, e dalla nota abilità dei Romani nell’esecuzione dell’opus quadrato.

L’immagine qui sopra (tratta dal libro di Cozzo) mostra come i blocchi del muro esterno, con le semicolonne scolpite, siano stati talvolta giustapposti anche contro le regole costruttive (cioè ponendo blocchi della stessa misura uno sopra l’altro) forse allo scopo di sbrigare al massimo la costruzione o di ottimizzare l’impiego della pietra.

Al piano terreno per esempio, dove i pilastri di travertino, 4-5, intermedi delle strutture radiali, hanno anche dei risalti e delle rientranze per assicurare l’immorsatura con la struttura in tufo di opus quadrato, nulla esclude che questa opera quadrata sia stata eseguita indipendentemente dalla costruzione dei pilastri in travertino, anzi questa indipendenza ci è documentata in modo evidentemente particolare nella fig. 21 che ci rappresenta un tratto di muro radiale con i pilastri di travertino 1-2-3-4. In queste riproduzioni il piano di posa dei corsi di opus quadrato, è affatto indipendente dai piani di posa dei massi di travertino dei pilastri stessi.

Ora se questa indipendenza non risulta a prima vista in modo egualmente evidente in tutti i muri radiali dei piano terreno, un’infinità di minuti particolari che non possono sfuggire ad una attenta investigazione, ce ne fanno assolutamente certi. Dei resto basta che essa sia dimostrata in diversi punti perché possa essere accertata per tutta l’opera restante.

Al secondo ordine dell’anfiteatro questa indipendenza tra i pilastri di travertino ed il riempimento in tufo o in laterizio, è indiscutibilmente dimostrato dalle documentazioni fotografiche. La fig. 23 rappresenta un tratto di uno dei pilastri di travertino dei secondo ordine e l’opera quadrata che gli è addossata, la fig. 22 i pilastri di travertino e l’opus laterizio che li unisce e che trovasi anche al secondo ordine.

Ora l’ufficio di questi arconi non sarebbe comprensibile se essi fossero stati eseguiti direttamente sopra le murature che risultano a loro sottostanti; queste poi hanno uno spessore tale che sarebbe stato ridicolo alleggerirle, con archi di scarico, dei lieve peso rappresentato dalle volte rampanti costituenti la cavea.

Una sezione del Colosseo

Risulta chiaro allora il concetto geniale della costruzione dell’anfiteatro. I pilastri di travertino, nella zona sottostante alla cavea, in un certo momento completamente isolati, formavano un organismo solo con gli archi rampanti che li collegavano, e questi e quelli in un primo tempo sostenevano, in uno scheletro indipendente di archi e pilastri, le volte di sostegno della cavea, prima che le murature di riempimento tra i pilastri stessi fossero eseguite. Le dimensioni di questi pilastri e la loro costituzione li rendevano perfettamente rispondenti al carico loro assegnato ed alla funzione loro imposta, che rivela un vero tratto di genio costruttivo ed organizzativo degli antichi Romani.

Questo procedimento tanto semplice, quanto evidente, ha consentito di giungere in modo rapidissimo alla costruzione dei grande imbuto della cavea ed alla copertura dei secondo ordine di ambulacri; nello stesso tempo ha reso possibile costituire due vastissimi ordini di cantieri di lavoro sulla stessa superficie; un primo in basso completamente al coperto per lavorare anche in tempo di pioggia, ed un secondo in alto sopra il piano della cavea, per la costruzione della parte superiore dell’edificio.

Nella parte coperta, ossia nei cantieri inferiori si sviluppavano tutte le numerose murature tra i pilastri di travertino, le volte rampanti delle scalee, le volte perimetrali di copertura dell’ambulacro terreno, gli intonaci e le opere decorative a stucco; nei cantieri superiori tutte le opere murarie, relative alla costruzione degli ultimi due ordini dell’anfiteatro, dei podio, delle gradinate e la costruzione dei portico ligneo terminale..

E’ singolare che questo metodo costruttivo richiami uno schema d’ingabbiature che troviamo frequente nelle province romane dell’Africa, ad es. in Timgad, in reticolati di pilastri ed architravi di pietra (Fig. 26). Esso sopravvive nel Medio Evo in una forma che offre interessanti raffronti nelle così dette case Torri Pisane, del XII secolo, in cui i pilastri in pietra e gli archi ogivali e gli architravi intermedi racchiudono il riempimento della parete, in laterizio (Fig. 27).

Una delle case-torri a Pisa

Ed è lo stesso concetto ispirato ad analogo scopo; quello di sdoppiare cioè l’ossatura dal riempimento, per giungere rapidamente al compimento dell’opera sviluppando lo spazio dei cantieri, creando una grande superficie di piani sovrapposti e in modo di suddividere ed attaccare il lavoro in vari punti.

Questo medesimo concetto ritroviamo nelle recentissime costruzioni intelaiate in cemento armato ed in acciaio che rappresentano l’ultimo portato della rapidità, nella costruzione moderna. Così la elevazione degli altissimi “skyscrapers” dei Nord-America si è potuta ottenere in tempo tanto breve da destare in noi la stessa meraviglia che suscita la rapida costruzione dei Colosseo.

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