L’origine dei giochi gladiatori
(in latino munus, pl. munera, cioè “offerti”) è tuttora oggetto di discussione. Alcuni, fondandosi soprattutto su fonti letterarie, ritengono che essi discendano dal costume etrusco di offrire sacrifici umani per celebrare la morte di un nobile, allo scopo di pacificare lo spirito del defunto. Lo storico romano Livio, al contrario, e molti studiosi di oggi, affermano che i giochi originarono in Campania (ove in effetti vi sono molti dipinti funerari che raffigurano scene di duelli e corse di carri). Altri ancora invece ritengono che i giochi siano originari del Sannio, poiché i primi gladiatori usavano le tradizionali armi sannite. Più tardi, i gladiatori si differenziarono in diverse tipologie, dette familiae, che a volte riproducevano la tenuta dei combattenti di paesi lontani.
E’ accertato che all’inizio i giochi erano collegati alla religione e alla magia, mentre più tardi questo aspetto perse importanza e fu quasi dimenticato. Comunque, qualsiasi ne sia stata l’origine, la prima testimonianza di un combattimento tra gladiatori risale al 264 a.C., quando i figli di Bruto Pera offrirono questo spettacolo per onorare la memoria del padre. L’ultimo combattimento nel Colosseo è registrato nel 438 d.C., anno in cui i giochi furono aboliti dall’imperatore Valentiniano III.
“I munera esprimevano la ritualità della classe aristocratica del mondo italico” (Auguet); essi non erano solo cerimonie religiose, ma divennero un’esibizione di potere e prestigio familiare, e presto ebbero un’immensa popolarità. Anche per ragioni politiche essi divennero più frequenti. I cittadini che avevano disponibilità economiche e desideravano guadagnare il favore (e i voti) dei plebei iniziarono a finanziare i giochi. A Roma l’organizzazione era affidata a magistrati, chiamati curatores. La produzione effettiva dei giochi era però competenza di un editor, che prendeva i necessari contatti con il lanista, una specie di manager dei gladiatori, e pubblicizzava il programma.
I giochi si tenevano, al pari delle cerimonie religiose, in alcuni giorni fissi, ma vi erano anche giochi “straordinari” e quelli offerti da privati cittadini. Comunque, col tempo la natura dei giochi mutò, finché “ogni pretesto era valido per offrire combattimenti al popolo” (Auguet). I giochi divennero quasi quotidiani, e ai tempi di Cesare per arricchire lo spettacolo si aggiunse al combattimento tra gladiatori, che si teneva al pomeriggio, una caccia mattutina. Negli ultimi anni dell’impero vi erano 177 giorni di spettacolo all’anno (10 per i gladiatori, 66 per il circo e 101 per gli spettacoli teatrali).
Col tempo, gli spettacoli aumentarono in quantità e splendore: lo stesso Cesare offrì un munus con più di trecento coppie di gladiatori. Anche il gusto degli spettacoli mutò: il popolo voleva essere stupito, e così si utilizzarono armature d’argento, animali esotici, coreografie, musiche ed “effetti speciali”. Durante i giochi si offrivano doni agli spettatori (sparsio): palle o tavolette con impressa l’immagine del dono erano gettate al pubblico. Si poteva vincere cibo, uno schiavo, o persino una casa o una nave.
Molte leggi vennero fatte per regolamentare questo o quell’aspetto della materia, sin dai tempi repubblicani. Uno dei temi costanti della legislazione sembra essere stato quello di limitare le spese dei giochi, ingentissime, anche per far fronte alla concorrenza dei nuovi ricchi e dei liberti, che potevano permettersi enormi spese per guadagnare popolarità. In seguito, gli imperatori tentarono di risolvere la faccenda istituendo un monopolio.
Infatti, il Senato romano a un certo punto decise di prendere misure per mettere ordine nell’organizzazione dei giochi e “controllare la pubblica asta delle cariche statali” (Auguet). Nel 22 a.C. fu approvata una legge per ridurre il numero dei giochi offerti dai privati cittadini; il Senato si riservò l’autorizzazione ed impose un limite di due giochi all’anno, con non più di 120 gladiatori per spettacolo. Nel 61 a.C. fu approvata la Lex Tullia de ambitu, che affidava l’organizzazione dei giochi agli imperatori e fissava le occasioni in cui essi si potevano tenere (eventi pubblici e inaugurazioni ufficiali). La produzione dei munera era divenuta di pubblico interesse, poiché era troppo importante per essere lasciata a qualsiasi privato che intendesse sfruttarne la popolarità per guadagnare il credito e il favore del pubblico.
Giulio Cesare stabilì un’organizzazione che sarebbe sopravvissuta durante il periodo imperiale: egli aprì una scuola di gladiatori a Ravenna e introdusse alcuni cambiamenti nella gestione dei gladiatori, nel senso che essi potevano essere allenati da cavalieri e senatori. Più tardi, gli imperatori accentuarono la natura monopolistica dei munera, che divennero una sorta di servizio pubblico: a Roma in pratica tutti i giochi erano offerti al popolo dall’imperatore, almeno formalmente.
Nelle province questo onore/onere era riservato a cittadini ricchi, sommi sacerdoti del culto imperiale, ed i giochi erano dedicati all’imperatore, non più alla memoria di un defunto. A Roma venne istituita sin dal primo secolo un’organizzazione per la produzione dei giochi. Vi era una Ratio a Muneribus, una specie di Ministero dei Giochi, che aveva poteri finanziari ed organizzativi per le venationes e i munera; vi era la Ratio Summi Choragi, che soprintendeva alle macchine ed ai costumi degli spettacoli; un esponente della classe equestre era a capo del Ludus Magnus, la principale scuola gladiatoria di Roma. Le altre scuole gladiatorie in Italia e nell’impero erano dirette da funzionari chiamati procuratores familiarum gladiatoriarum.
Dati gli enormi costi dei munera, e la loro frequenza, l’imperatore poteva rinunciare al suo privilegio di organizzare i giochi, a favore dei funzionari del culto imperiale (detti anche magistrati). In realtà, i magistrati provinciali erano obbligati dalle leggi cittadine ad offrire munera a nome dell’imperatore. Questo era per loro spesso uno spinoso problema finanziario ed organizzativo, anche se potevano contare su una quota fissa proveniente dalle casse pubbliche. Alla fine, i funzionari che avevano offerto giochi potevano fregiarsi del titolo di munerarii (pare inventato dallo stesso Augusto). Comunque, quando le nuove classi emergenti iniziarono ad offrire giochi nel tentativo di imitare lo stile delle classi dirigenti romane, si limitò il numero massimo della spesa ammessa, riducendo così il valore di questi giochi rispetto a quelli ricchi e splendidi offerti dall’imperatore.