I giochi erano molto importanti per la gente:
andate a vedere cosa ne pensa un personaggio del romanzo di Petronio Arbitro Satyricon. La spesa era enorme, e per gli organizzatori il problema deve essere stato assai grave, perché per esempio ai tempi di Tiberio il Senato proibì l’organizzazione di giochi a coloro che avessero un patrimonio inferiore ai 400.000 sesterzi (che era l’equivalente del minimo necessario per far parte del census equestris). Si giunse persino a lasciare patrimoni in testamento per istituire fondazioni il cui scopo era quello di offrire giochi anche nel futuro, utilizzando gli interessi maturati sulla somma.
Il giro d’affari era ingente, ed era una buona fonte di guadagni per gli imperatori, che tassavano pesantemente i lanistae, tanto che alla fine del II secolo questi erano debitori al fisco di svariati milioni di sesterzi. Marco Aurelio e Commodo tentarono di limitare le spese degli spettacoli, che potevano rovinare una casata, e di porre un freno al prezzo dei gladiatori. Tale prezzo poteva comunque variare, poiché era relativo al costo complessivo dello spettacolo, cosicché per uno spettacolo del costo di 30/60.000 sesterzi il prezzo del gladiatore poteva essere di 5.000 sesterzi, ma poteva salire a 15.000 nel caso di una editio da 200.000 sesterzi.
Il divieto di tenere giochi o i limiti imposti ad essi potevano essere comunque superati qualora ci si appellasse direttamente al Senato. Così fecero i Siracusani per avere un numero di gladiatori maggiore del consentito, e sappiamo che un magistrato di Pesaro dette ben 8 giochi, però poté farlo appellandosi al diretto patronato dell’imperatore (ex indulgentia Augustii).