Per molti secoli,
prima che nell’ottocento gli archeologi e gli ingegneri lo ripulissero, il Colosseo era ricoperto di piante e alberi. Per molto tempo vi furono orti e giardini, ed una grande varietà di vegetazione cresceva all’ombra delle arcate o si arrampicava sui muri. Piante di ogni genere, alberi di fico, olmi, peri, olivi e ciliegi trovavano il loro habitat nell’anfiteatro, dove anche le pecore pascolavano nell’arena. In molti casi (ad es. nel 1727) fu concesso dietro pagamento il permesso di raccogliere il fieno e le erbe che crescevano nel monumento.
Gli archi e le rovine erano divenuti un giardino incantato pieno di fiori e verzura. I romantici viaggiatori del XVIII secolo trovarono il Colosseo estremamente suggestivo, come se la natura si fosse riappropriata del luogo. Shelley, Byron, Dickens, Thomas Cole, Henry James e molti altri artisti cedettero al fascino delle antiche, evocative rovine.
Nell’ottocento furono soprattutto i pittori ad innamorarsi degli aspetti pittoreschi del Colosseo. Una mostra tenuta a Roma (“Frondose Arcate”) ha sottolineato tra gli altri il lavoro dei pittori francesi Jean-Antoine Constantin e Francois-Marius Granet, che furono attivi a Roma tra il 1777 e il 1830.
E’ interessante l’atteggiamento di Granet quando, al suo ritorno a Roma nel 1829, visitando il Foro ed il Colosseo, è terribilmente sdegnato dai lavori degli “ingegneri”, che stavano ripulendo e restaurando le vecchie pietre, eliminando alberi e verzura: “Ero sorpreso che i Romani, che hanno tanto gusto per tutte le cose, avessero permesso un tale scempio. L’intervento moderno ha rovinato quei meravigliosi monumenti”. E, in un’altra occasione: “E’ stata la scienza con le sue fredde regole ad aver ridotto quel luogo in tale stato, così da far piangere l’arte della pittura“.
La flora del Colosseo è stata esaminata scientificamente cinque volte in diverse opere di botanica (Panaroli 1643, Sebastiani 1815, Deakin 1855, Fiorini Mazzanti 1874 e Anzalone nel 1951), fatto che testimonia di uno speciale interesse dei botanici per il Colosseo ed in genere per la flora urbana e/o ruderale.
Domenico Panaroli, filosofo, igienista ed astronomo, morto nel 1657, fu professore di botanica e anatomia all’Università “La Sapienza” e diresse l’orto dei semplici di Roma. Il suo inventario di 337 specie vegetali del Colosseo (Plantarum Amphytheatralium Catalogus) intendeva soprattutto dimostrare come le piante medicinali fossero facilmente reperibili e diffuse anche nei luoghi normalmente frequentati (“plantas familiares, & domesticas, quas pedibus quotidie calcamus enumerabimus…“). La nomenclatura delle piante è prelinneiana, e quindi vi sono ambiguità circa l’individuazione delle specie.
Antonio Sebastiani (1782-1821) fu medico primario presso l’Ospedale del S. Spirito di Roma, professore di botanica applicata presso La Sapienza e prefetto dell’Orto Botanico dal 1813 al 1820. Nel 1815 pubblicò un catalogo di 261 piante spontanee del Colosseo: “Enumeratio Plantarum sponte nascentium in ruderibus Amphitheatri Flavii“. Anche quest’opera era finalizzata all’individuazione delle specie medicinali “ad communem omnium utilitatem“. Qui la nomenclatura è sia linneiana che prelinneiana.
Sappiamo molto poco di Richard Deakin, morto a Tunbridge Wells nel 1873. Fu dottore a Sheffield e si dedicò a studi di botanica. Scrisse: The Botanist’s Manual nel 1836, una Phlorigraphia Britannica in 4 volumi pubblicata tra il 1837 e il 1848, Ferns (1837-1841), dedicato alle felci, Flora of the Colosseum of Rome nel 1855 e The flowering plants of Tunbridge Wells and neighborhood nel 1871.
Flora of the Colosseum of Rome fu pubblicato a Londra nel 1855 e ripubblicato nel 1873. L’opera, che elencava 418 specie, era destinata al pubblico inglese che apprezzava l’aspetto romantico del monumento, descritto più volte da famosi scrittori e poeti. Lo scopo del libro non era solo scientifico, ma anche divulgativo e persino poetico, come spiegato da Deakin nella prefazione: “Lo scopo del presente volumetto è di richiamare l’attenzione dell’amante dell’opera della creazione sulle produzioni floreali che fioriscono in trionfo sulle rovine di un unico edificio. I fiori sono forse i più graziosi e piacevoli oggetti della creazione ma non sono mai così deliziosi quando sono associati con ciò che richiama alla memoria tempi e luoghi, e specialmente quelli di generazioni scomparse da lungo tempo. Essi formano un collegamento nella memoria, e ci insegnano lezioni di speranza e consolazione, assieme alla tristezza dei tempi passati: è infatti freddo il cuore che non risponde al loro silenzioso richiamo; perché, quantunque senza parole, ci narrano del potere rigenerante che rianima la polvere della perduta grandezza, e riveste la loro triste e perduta grandiosità con forme graziose e fiori e foglie dalle fogge curiose, risplendenti con i loro gai e vari colori, e profumano l’aria con i loro odori squisiti”.
Deakin infatti non solo elenca le piante, ma ne descrive le proprietà, gli usi curativi, le tradizioni legate ad esse nelle diverse culture e persino i riferimenti mitologici e le citazioni letterarie.
La contessa Elisabetta Fiorini Mazzanti (Terracina 1799 – Roma 1879) fu una botanica italiana che contribuì alla conoscenza delle piante del Lazio, particolarmente delle Crittogame; lasciò le sue raccolte all’Istituto botanico di Roma e scrisse fra l’altro: Specimen bryologiae Romanae (1831 e 1841) e Florula del Colosseo (1875). Quest’ultima opera fu redatta prima del massiccio diserbo del Colosseo del 1871, e suddivisa in cinque “comunicazioni” all’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei. La Florula venne concepita “affinché non vada perduta la memoria delle piante che ivi allignavano“, testimoniando l’apprezzamento di botanici e non solo per l’abbondanza di vegetazione che ricopriva e rivestiva il monumento.
Nella prefazione, che iniziava “Mestamente presento a questo illustre consesso la quasi spenta florula di quell’alto monumento di Roma che nelle sue gigantesche rovine siede a testimonio della caducità di ogni grandezza e possenza umana...”, la Fiorini esprime tutta la sua afflizione per gli interventi di diserbo, tanto da affermare: “Natura piacevasi vestir di Poesia le venerande mura, temperandone la severità con il vago ornamento di piante e fiori … ora cupidigia archeologica tutto distrusse.”
L’opera della Fiorini, di maggior rigore scientifico delle precedenti, elenca 272 specie di piante, ed in particolare 70 specie di “vegetali inferiori”, che oggi sono considerate appartenenti a regni diversi: muschi, licheni, funghi ecc.
Bruno Anzalone (1921-2007), professore ordinario di Botanica Farmaceutica dal 1974 al 1996 presso l’Università La Sapienza di Roma, era considerato il maggior esperto della flora del territorio laziale. Negli “Annali di Botanica” del 1951 apparve un suo studio “Flora e vegetazione dei muri di Roma“, in cui era studiata anche la flora del Colosseo, esclusa quella degli ipogei. L’opera elenca 191 specie.
Infine, è stato effettuato in anni recenti un censimento della flora attuale del Colosseo. I rilievi, a cura dell’Università La Sapienza, sono iniziati nel 1990-1991 ed ampliati tra il 1998 ed il 2000. Approfittando del montaggio dei ponteggi per i restauri, è stato possibile raggiungere zone altrimenti inaccessibili, e la flora è stata rilevata nelle zone corrispondenti ai diversi livelli dell’anfiteatro, dagli ipogei freschi e umidi sino all’attico arido e soleggiato. E’ stata riscontrata una elevata ricchezza floristica: nonostante le periodiche operazioni di diserbo sono state censite 243 specie, di cui 169 negli ipogei, mentre dai livelli inferiori a quelli superiori si è riscontrato un progressivo impoverimento. Oltre le specie più comuni, sono state rilevate alcune specie rare o rarissime per la città di Roma, quali l’Asphodelus Fistulosus e il Sedum dasyphyllum (vedi foto). Ciò conferma quanto già rilevato per altre aree archeologiche, ovvero che sono aree di rifugio per specie fortemente minacciate nell’habitat urbano.
Per la maggior parte le informazioni di questa pagina sono tratte da “Amphitheatrum Naturae”, a cura di Giulia Caneva, Electa 2004