Antichità

L’anfiteatro Flavio o Colosseo
(pare che nell’antichità fosse denominato Amphitheatrum Caesareum o, in greco, Teatro di Caccia) venne costruito tra il 71-72 e l’anno 80 d.C dagli imperatori Vespasiano, Tito e Domiziano, della famiglia Flavia, come dono ai cittadini di Roma, al posto della Domus Aurea, la residenza dell’imperatore Nerone (cliccate qui per vedere cosa c’era prima dei tempi di Nerone).

La città aveva bisogno di un anfiteatro, poiché l’unico con una struttura parzialmente in pietra era stato costruito da Statilio Tauro nel 29 a.C. ed era ormai insufficiente. Caligola (12-41 d.C.) aveva iniziato i lavori per un nuovo anfiteatro, ma Claudio li arrestò quando arrivò al potere. Anche Nerone rifiutò di usare il vecchio impianto di Statilio e preferì costruirne uno nel Campo di Marte. Era molto bello, a sentire gli storici, ma andò distrutto, probabilmente nel famoso incendio del 64 d.C.

La morte di Nerone nel 68 segnò la fine della dinastia Giulio-Claudia, e l’inizio di quella Flavia. L’imperatore Vespasiano, acclamato dal Senato nel 69, intendeva compiere un gesto politico per riconciliare i cittadini romani con i nuovi padroni. Così restituì ai Romani la maggior parte delle aree che Nerone aveva occupato al centro della città, e il Colosseo fu costruito dove prima giaceva un laghetto, nel parco della residenza di Nerone, la Domus Aurea.

Vespasiano, il costruttore del Colosseo

Ci vollero circa dieci anni per costruire l’anfiteatro. Vespasiano iniziò i lavori nel 72 d.C. e suo figlio Tito lo inaugurò nell’anno 80 con magnifici giochi che durarono cento giorni. E’ generalmente accettato che l’edificio fu completato dall’imperatore successivo, Domiziano, il fratello di Tito, con le opere murarie sotto il piano dell’arena, oggi ben visibili. Per una descrizione della visita ai sotterranei cliccate qui.

Tito

Nell’anfiteatro – che era un’invenzione dei Romani – si tenevano spettacoli che oggi condanneremmo senza esitazione quelli più popolari erano le cacce e i munera, che la classe dirigente romana era praticamente tenuta a finanziare ed organizzare, sia per legge che per soddisfare le aspettative delle classi popolari. I giochi comportavano grandi spese, e la loro enorme popolarità li fece diventare oggetto di pubblico interesse, regolati da molte leggi.

A Roma l’intera area del Colosseo era dedicata ai giochi: nei pressi dell’anfiteatro Domiziano costruì quattro ludi, che erano le caserme/prigioni dei gladiatori. I bestiarii, che combattevano contro le belve, si allenavano nel Ludus Matutinus (così detto perché le cacce si tenevano al mattino), e poi vi erano il Ludus Gallicus, il Dacicus e il Magnus.

L’anfiteatro è rimasto in funzione per circa cinque secoli, nei quali è stato profondamente modificato, rimaneggiato e restaurato. Diverse volte fu distrutto da incendi; sebbene la struttura principale fosse di pietra, molti elementi di legno (nei sotterranei, l’arena stessa, i pali del velarium, le gradinate ed il tetto del maenianum summ in ligneis) fecero sì che il fuoco si alimentasse, calcinando a sua volta le pietre e sfarinandole.

I primi restauri furono forse eseguiti ai tempi di Antonino Pio (86-161) dopo un incendio che aveva distrutto 350 case della città, come dimostrato da un capitello corinzio di quell’epoca (l’unico!) rinvenuto dagli archeologi.
Una ricostruzione quasi completa si rese necessaria dopo il 217, l’anno in cui le tabulationes dell’ordine superiore si incendiarono colpite da un fulmine. Il fuoco, con i tizzoni caduti nell’arena, si estese al pavimento ligneo che rovinò, poi alle strutture lignee dei sotterranei e infine a tutto il resto dell’edificio. Il Colosseo divenne un enorme braciere che smise di bruciare solo quando il combustibile si consumò. Scrive Lanciani: “I sette battaglioni di pompieri della città e i marinai del Castra Misenatium non riuscirono, insieme ad un acquazzone, ad aver ragione del fuoco, tanto è vero che l’Anfiteatro rimase inagibile per molti anni e gli spettacoli si tennero nel Circo“.

Quasi nulla era rimasto della fabbrica flavia, e ci vollero più di trenta anni per ricostruire l’anfiteatro, che nel 222 fu riaperto e dedicato di nuovo agli dei da Alessandro Severo, il quale destinò i proventi delle tasse pagate da lenoni, prostitute e omossessuali alla riparazione degli edifici pubblici, tra i quali l’anfiteatro. A dire il vero Lanciani critica le riparazioni effettuate: “Si tratta di veri e propri rattoppi con le pietre più disuguali, rocchi di colonna, trabeazioni raccolte alla rinfusa tra gli elementi danneggiati o anche da altri edifici della città. Tutta questa parte appare costruita in modo frettoloso e aprossimativo: giunture disuguali dei blocchi, pilastri irregolarti e disposti a distanze diverse“.

Marcus Aurelius Antoninus Augustus, detto Helagabalus

Di fatto i restauri terminarono solo nel 240, al tempo di Gordiano III, che fece coniare una moneta per l’occasione. Gordiano intendeva celebrare a Roma un sontuoso trionfo per la sua vittoria contro i Persiani, ed aveva raccolto 32 elefanti, 10 alci, 10 tigri, 60 leoni, 30 leopardi, 10 iene, 1000 coppie di gladiatori dei ludi imperiali, 6 ippopotami, 1 rinoceronte, 10 orsi, 10 giraffe, 20 onagri, 40 cavalli selvaggi e molti altri animali.
Gordiano invece morì in Persia in circostanze oscure. Fonti persiane dicono che egli all’inizio del 244 combatté una battaglia che terminò con una pesante sconfitta dei Romani e con la morte dell’imperatore. Le fonti Romane invece non menzionano questa battaglia e suggeriscono che Gordiano sia morto altrove, più a monte lungo l’Eufrate. Filippo l’Arabo, che successe a Gordiano, venne a Roma e utilizzò tutti gli animali dell’elenco, che furono esibiti e poi uccisi in occasione degli spettacoli organizzati per il millennio della città: 21 aprile 248.

L’anfiteatro fu nuovamente danneggiato, secondo alcune fonti nel 250 durante il regno di Decio (201–251) o quello di Triboniano Gallo (206–253). Decio condusse molte persecuzioni contro i cristiani: tra le vittime si contano il vescovo di Roma, Fabianus, e i futuri santi Ireneo, Abundius e Policronius. Due vassalli persiani, Abdon e Sennen, furono giustiziati nell’arena, e i loro corpi abbandonati tra il Colosseo e la Meta sudante, nel punto ove nel V secolo fu costruita una chiesa a loro dedicata; la chiesetta era ancora in piedi nel XV secolo.

Nel 262 durante il regno di Gallieno, un violento terremoto devastò il Mediterraneo orientale, ed anche Roma fu colpita: così gravemente che l’anno seguente si verificò un’epidemia di peste.
Nel 312 il Senato dedicò all’imperatore Costantino l’arco trionfale che è ancora in piedi vicino al Colosseo, e sostituì il volto del Colosso con quello del nuovo imperatore. La testa di Costantino fu rinvenuta nel XVI secolo tra il piedistallo della statua e la Meta Sudante, e si trova oggi al Museo Capitolino.
Nel 320 l’anfiteatro fu nuovamente colpito da un fulmine ma pare senza gravi dannni. Da quest’epoca in poi non sono più riportati incendi, ma vi sono stati invece molti terremoti.
Nel 357 l’imperatore Costanzo II visitò Roma e rimase impressionato dall’anfiteatro. Lo storico Ammiano Marcellino lo stesso anno lo descrisse come in buone condizioni.

Per quanto riguarda l’eliminazione dei giochi gladiatori, che i cristiani detestavano, scrive Lanciani: “Nel 325, anno del Concilio di Nicea, Costantino indirizzò al Praefectus Urbis, Maximus, la sua Costituzione, che vietava le carneficine umane, ma l’effetto non si vide. Costanzo e Giuliano il 16 ottobre 357 e Arcadio e Onorio nel 397 rinnovarono la proibizione con gli stessi risultati. Si notò solo una maggior umanizzazione dei combattimenti gladiatori, ora, fra l’altro, protetti a volte dagli stessi imperatori. Nel 365-67, Valentiniano e i suoi colleghi eressero una statua a un campione di nome Philumenos; la stessa cosa fece Teodosio nel 384-92 per celebrare i successi di un atleta di nome Johannes (un cristiano o un ebreo). Ma la vecchia passione della plebe per questi spettacoli crudeli era dura a morire. Il famoso mosaico con la rappresentazione delle editiones gladiatoriae dei Simmachi è della metà del IV secolo, come la grande scena di combattimento di Torre Nuova”.
L’ultimo combattimento gladiatorio si tenne nel 404, dopo che l’imperatore Teodosio aveva imposto l’ortodossia cristiana, bandito il paganesimo e iniziato a perseguitare i pagani. Le feste pagane furono abolite, il tempio di Vesta distrutto, le Vestali disperse, auspici e sacrifici furono considerati stregoneria e puniti. Fu in questo periodo che la maggior parte delle tradizioni e dei costumi Romani venne meno. Inoltre, da quest’epoca in poi non abbiamo più testimonianze letterarie sul Colosseo, e le uniche fonti sono una serie di iscrizioni.

Dal 408 al 410 la città fu assediata da Alarico (370-410), re dei Visigoti, che alla fine entrarono in città e la saccheggiarono per tre giorni. Durante la guerra l’anfiteatro fu completamente abbandonato e i suoi dintorni divennero un luogo di sepoltura, poiché gli assedi impedivano ai Romani, come era regola, di seppellire i propri morti fuori delle mura. Terminata la guerra, questi cimiteri vennero “bonificati” seppellendoli sotto due metri di terra, e uno di essi fu riscoperto solo nel 1895.
Prevalentemente nel settore nordest sono state rinvenute complessivamente 89 sepolture, datate dall’età di Diocleziano a quella di Teodorico (secoli IV-VI). In particolare, dentro e intorno all’anfiteatro sono state rinvenute 63 tombe, ma ci è nota l’ubicazione di solo 56 di esse.
Queste 56 sono concentrate in tre gruppi: 15 sul lato orientale e 18 sul lato settentrionale si trovavano al di fuori dell’area di rispetto dell’anfiteatro, pavimentata in travertino, che allora era ancora oggetto di manutenzione; il terzo gruppo di 23 tombe (del VI secolo) fu trovato all’interno del portico sul lato settentrionale, quindi si pensa che durante il V secolo la zona sarebbe stata abbandonata ma che l’anfiteatro fosse ancora in uso. Dopo, quando venne chiuso, fu utilizzato per le sepolture.

Il trauma del sacco dei Visigoti indusse circa la metà della popolazione a lasciare la città. Alla fine del IV secolo Roma contava ancora tra 500.000 e un milione di abitanti, ma dopo l’invasione il numero si dimezzò. I saccheggi successivi ridussero ulteriormente la popolazione, che tra la fine del V secolo e l’inizio del V si era ridotta a 100.000 persone. Con il sacco dei Visigoti probabilmente si occlusero le fogne dell’anfiteatro, si allagarono i sotterranei e forse si danneggiò anche una parte del portico superiore, che doveva essere caduto nella cavea, poiché fu riparato ancora una volta tra il 417 ed il 423 dal Praefectus Urbi Iunius Valerius Bellicius.
Come facciamo a sapere tutto questo? Se volete saperlo cliccate qui; è una storia interessante.

Tra il 425 e il 450, probabilmente dopo il terremoto del 443, Lampadius portò a termine ulteriori lavori di restauro all’arena, al podio e alle gradinate, a sue spese, come volle scolpito nel marmo. Questa particolare iscrizione di Lampadio è importante anche perché è stata scolpita su un blocco di marmo già utilizzato per un’iscrizione a lettere bronzee. I perni di fissaggio di queste lettere avevano lasciato dei buchi nel marmo, buchi che furono decifrati nel 1995. Si scoprì che le lettere bronzee commemoravano la prima inaugurazione dell’anfiteatro da parte di Vespasiano e confermavano che il Colosseo fu costruito con le spoglie di guerra, ovvero con il bottino della guerra giudaica ed il sacco del Tempio di Gerusalemme.

Dopo quelli del 429 e del 443, un ennesimo terremoto sconquassò Roma nel 470, e tra queste due disgrazie vi fu nel 455 un altro sacco della città, da parte dei Vandali di Genserico, che durò quindici giorni.

Un’altra iscrizione commemora le riparazioni effettuate dal patrizio Messius Phoebus Severus nel 470, e tra gli ultimi restauri di cui si ha menzione vi sono quelli finanziati dal Praefectus Urbi Decius Marius Venantius Basilius dopo un terremoto. Qui il problema è che vi sono stati diversi senatori con questo nome, consoli in diversi anni, e non esistono fonti che registrano unn terremoto in quegli anni, così in generale Venantius Basilius è identificato con il console dell’anno 484, sebbene vi sia un’altra opinione che data l’iscrizione ai tempi di Teodorico (454-526).
Comunque, questi lavori non furono gli ultimi: il piano dell’arena fu rialzato ancora durante il VI secolo, come attestato dai frammenti di un’iscrizione rinvenuta nell’anfiteatro, ora scomparsa, ma che al tempo fu trascritta. Commemorava i lavori svolti da Atanasius, un senatore che visse dopo la caduta dell’Impero di Occidente.

L’ultima venatio avvenne nel 523; gradualmente il gusto del pubblico era mutato, ma il motivo principale per la fine dei giochi fu la crisi finanziaria e militare della parte occidentale dell’Impero, insieme alle molte invasioni subite dall’Italia. Nessuno poteva più permettersi le colossali spese necessarie ad organizzare i giochi, e l’edificio rimase senza funzione. Forse alcune venationes furono organizzate sino alla fine del VII secolo (Gentili), ma nei secoli dal VI al IX l’anfiteatro fu completamente abbandonato.

Nel medio evo il Colosseo ospitò abitazioni, chiese, stalle e magazzini, e divenne una fortezza/residenza delle famiglie baronali di Roma. Paradossalmente la sua distruzione venne accelerata proprio durante il Rinascimento, quando si tornò ad ammirarlo come insigne opera architettonica, poiché venne utilizzato come cava di materiali per la costruzione di innumerevoli edifici nella città dei Papi. Infine, all’inizio dell’ 800, iniziarono di nuovo i restauri.

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Fonte principale di questa pagina web: Il Colosseo – AA. VV. – A cura di Ada Gabucci, Electa, Milan 1999

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