I gladiatori

Ut quisquem vicerit occidat – Kill the loser whoever he may be

I Romani godevano
di spettacoli gratuiti: ai cittadini erano offerti banchetti e spettacoli del circo o dell’anfiteatro da parte dei ricchi e famosi. I giochi erano offerti dall’imperatore per primo, e dalla nobiltà, per ottenere consenso sociale. I cittadini venivano dunque gratificati con panem et circenses per distrarre la loro attenzione da problemi più importanti. Il calendario annuale e l’organizzazione dei ludi, i giochi in onore degli dei, erano all’inizio regolati dalla legge, poiché i giochi erano iniziati come cerimonie religiose. Più tardi, quando privati cittadini si accollarono le spese della “produzione”, il carattere sacro dei giochi venne quasi dimenticato.

I gladiatori erano comunque famosi e popolari come i cantanti e i calciatori di oggi, e la loro compagnia era assai desiderata dalle signore. Si veda questo scritto di Armando Polito, apparso su vesuvioweb.com, che riporta e commenta i graffiti relativi ai gladiatori scoperti sui muri di Pompei.

I giochi più popolari erano i ludi circenses, ovvero le corse dei carri, che avvenivano nel circo, e le naumachiae, battaglie navali riprodotte in bacini costruiti allo scopo . I Ludi Gladiatori nell’anfiteatro erano meno frequenti, ma immensamente popolari. Essi erano generalmente accompagnati da una venatio, ovvero una caccia simulata di animali selvaggi (uno spettacolo che talvolta comportava l’esecuzione di condannati a morte). Nell’anfiteatro si mettevano in scena anche le silvae, spettacoli nei quali gli animali popolavano uno scenario agreste, e drammi che riproducevano famose storie mitologiche.

CHI ERANO I GLADIATORI?

Normalmente i gladiatori erano schiavi, criminali condannati a morte o prigionieri di guerra, tutta gente che nel mondo romano non godeva di alcun diritto e la cui vita era considerata spendibile. I prigionieri di guerra considerati idonei erano riservati ai ludi, e se si pensa che a quei tempi la maggior parte dei prigionieri finiva in catene o era uccisa, questo destino forse non era poi il peggiore. L’offerta di gladiatori era sempre inferiore alla domanda, così subentrò l’abitudine di inviare gli schiavi fuggitivi alle scuole gladiatorie. Poiché lo schiavo era proprietà assoluta del suo padrone, vi erano molti casi in cui egli poteva essere condannato ad ludum. In tal caso, egli veniva allenato nel ludus come tutti gli altri gladiatori, con i quali combatteva ad armi pari, ed in ogni caso dopo tre anni – se sopravvissuto – non sarebbe più dovuto scendere nell’arena. Questa situazione era però differente da quella di chi era condannato a morire nell’arena senza alcuna speranza di sopravvivenza, come quelli condannati ad bestias o quelli ad gladium ludi damnati, che, spada in mano, dovevano uccidere un altro prigioniero completamente indifeso, dopodiché venivano disarmati per incontrare un altro condannato, e così via sino a che rimaneva vivo solo un ultimo criminale.

In alcuni casi, imperatori particolarmente crudeli mandavano a morte degli uomini solo per un loro capriccio: sappiamo che Claudio ordinò ad un funzionario di scendere nell’arena così come era (in toga), e che Caligola inviò ad bestias tutti gli ospiti di una prigione solo perché mancava la carne per gli animali.

Vi era anche una minoranza di uomini liberi che – a partire dal primo secolo d.C. – intraprendeva la carriera dell’arena come professione. Per il cittadino romano, peraltro, la sottomissione spontanea di un uomo libero al lanista, il padrone del ludus, era considerata una azione tra le più riprovevoli. Il cittadino che rinunciava al suo stato di libertà e diveniva – per il periodo della ferma – uno schiavo, era pertanto annoverato nella categoria giuridica degli infames, ovvero dei paria.

Ai tempi della repubblica una tale abiezione era inconcepibile, ma più tardi questo atteggiamento mutò, quando persino alcuni imperatori si presentarono nell’arena per soddisfare la loro vanità. Caligola partecipò ai giochi come essedarius (conducente di carri) e come gladiatore, ed anche Commodo si cimentò nell’arena parecchie volte.
Nonostante la riprovazione sociale, gli uomini liberi intraprendevano la carriera del gladiatore per il gusto del pericolo o per amore delle armi, o perché erano rovinati finanziariamente ed avevano necessità della somma che veniva loro data al momento dell’arruolamento, sperando di raddrizzare le proprie sorti tramite una carriera fortunata.
La legge prevedeva che i liberi cittadini potessero arruolarsi solo dopo una formale dichiarazione resa davanti al tribunus plebis, ma questa regola, che garantiva contro le decisioni impulsive, divenne più tardi una semplice formalità.

I gladiatori iniziavano la carriera sottomettendosi (o essendo venduti) al lanista. L’attività del lanista era ufficialmente considerata nel mondo romano una delle più vili (persino al di sotto dei lenoni, degli attori e dei macellai).
Egli aveva diritto di vita e di morte sui gladiatori, i quali dovevano prestare un giuramento con il quale si impegnavano alla completa sottomissione per essere accettati nella scuola.
Il gladiatore giurava di “sopportare la frusta, il marchio e la morte per spada”; queste terribili punizioni erano previste per soffocare ogni accenno di ribellione e per condizionare le menti dei combattenti affinché si convincessero che l’unica loro speranza di salvezza era sopportare ogni prova. La preparazione durava anni, poiché il pubblico era divenuto assai esigente, e solo dopo aver terminato questo periodo il gladiatore era pronto ad entrare nell’arena.

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