Le venationes
erano delle finte cacce di animali, selvaggi o meno, che venivano sterminati nell’anfiteatro con frecce, picche e ogni altro mezzo.
All’inizio si tenevano solitamente al mattino, come introduzione e complemento ai combattimenti gladiatori, che iniziavano nel pomeriggio. In ogni caso, nell’ultimo periodo della repubblica, le cacce divennero uno spettacolo a sé stante, che iniziava nel pomeriggio e talvolta durava per giorni. Bestie feroci – elefanti, orsi, tori, leoni, tigri – erano catturate in tutto l’impero, trasportate alle loro diverse destinazioni e custodite in appositi luoghi chiamati vivaria sino al giorno dello spettacolo. Il numero di animali uccisi è stupefacente: gli storici raccontano di migliaia di bestie uccise in una sola giornata, in occasione dell’inaugurazione del Colosseo.
Talvolta le cacce si tenevano in altri luoghi, nel Foro e nel Circo, ovunque si trovasse uno spazio appropriato. Alcuni autori distinguono tra le grandi cacce spettacolari e le cacce mattutine che divennero routine, e che nel Colosseo si tenevano prima dei combattimenti di gladiatori.
All’inizio, gli animali erano incatenati, ma a partire di tempi di Silla (ca. 100 a.C.) essi erano liberi, e si dovettero costruire delle difese particolari per la sicurezza del pubblico. Nel Colosseo, il muro intorno all’arena, il podium, era alto circa quattro metri, non offriva appigli ed era coronato da rulli che impedivano alle bestie di scavalcarlo. Inoltre, un sistema di reti tutt’intorno al podio offriva una ulteriore sicurezza e alcuni arcieri erano pronti a colpire gli animali che tentassero di fuggire tra il pubblico.
I venatores (che erano schiavi, criminali o anche sotto contratto, e che erano considerati socialmente ad un livello ancora inferiore a quello dei gladiatori) ricevevano una speciale preparazione nei ludi, come i gladiatori, e a Roma probabilmente nel ludus matutinus, il cui nome potrebbe provenire proprio dall’usanza di tenere le cacce al mattino. I venatores erano divisi in categorie a seconda del ruolo svolto nello spettacolo. Essi non rischiavano la vita come i gladiatori, tuttavia vi era sempre il pericolo di essere sbalzati in aria da un toro, o di essere sbranati da un leone, ed alcuni incontri lasciavano ben poche possibilità di sopravvivenza. Ne è prova il fatto che ai tempi di Nerone l’impresa finale richiesta ad un gladiatore che voleva la libertà era quella di uccidere – da solo – un elefante.
Nel Colosseo gli animali feroci non potevano entrare nell’arena dalle normali entrate, pertanto venivano portati nell’anfiteatro poco prima dello spettacolo e tenuti nei locali sotterranei dentro gabbie che poi erano sollevate da argani sino ai cubicoli posti tutt’intorno al podium, corrispondenti a botole che si aprivano sul piano dell’arena. Se le bestie si rifiutavano di entrare nell’arena, alcuni inservienti (magistri) usavano delle torce per farle uscire. In caso di attacco da parte degli animali, questi inservienti potevano ritirarsi dentro alcune gabbie poste contro il muro del podio.
L’elemento comune a tutte le venationes era la presenza di animali; ciò non significava necessariamente che venissero massacrati, ed infatti potevano svolgere anche altri ruoli: Cesare, ad esempio, fu il primo a portare una giraffa a Roma, con grande stupore dei cittadini; Augusto mise in mostra animali esotici e strani, inviati a questo scopo dai governatori delle province.
Tuttavia, la normale caccia prevedeva che le bestie combattessero l’una contro l’altra, o contro degli uomini. Gli esperti distinguono qui tra due specie molto diverse di venationes: quella in cui uomini armati combattevano le bestie selvagge, ed un altro “spettacolo”, nel quale dei condannati a morte erano gettati alle bestie senza alcuna difesa.
Le venationes finivano di solito con uno spettacolo di animali ammaestrati, come nei circhi odierni. Per mantenere tutti questi animali, ed anche tutte le bestie condannate a trovare la morte nell’arena, era necessario approntare una specie di zoo (vivarium).
L’intero sistema – dalla cattura delle fiere in tutta la periferia dell’impero, sino al loro trasporto e mantenimento nei vari anfiteatri – assunse la dimensione di un’industria, dato il gran numero di animali necessari a produrre gli spettacoli. In particolare, le cacce divennero estremamente popolari in Africa, dove nei mosaici possiamo ancora trovare le immagini di famosi animali assassini, a cui erano dati nomi come Omicida e Crudelis.
Molti dei duelli di animali erano ripetitivi: leone contro tigre, o contro un toro o un orso. Talvolta le coppie erano diseguali: cani, o leoni, erano sguinzagliati contro dei cervi, ed in questo caso il risultato era prevedibile. Per spezzare la monotonia si ricorse a stravaganti combinazioni: ippopotami, iene, foche e ogni specie di felino. Abbiamo testimonianze di un combattimento di un orso contro un pitone, di un leone contro un coccodrillo, di una foca contro un orso e così via. Certe volte gli animali erano incatenati insieme, cosa che li limitava nelle manovre.
Molti combattimenti, comunque, presentavano le bestie contro i venatores, armati di lancia. I venatores proteggevano le braccia e le gambe con strisce di cuoio, e qualche volta difendevano il petto con una placca metallica, o indossavano una armatura (nel qual caso come arma offensiva usavano solo una spada).
Le tecniche di combattimento erano varie: mentre alcuni venatores erano armati come sopra descritto, altri invece erano quasi nudi, e tra i due estremi vi erano molti tipi intermedi. Alcuni combattevano a mani nude, o con attrezzi speciali come ad esempi la cochlea, che era qualcosa di simile ad una porta girevole, dietro la quale il venator poteva scansare l’attacco della fiera. A volte gli uomini cavalcavano uno degli animali che veniva opposto all’altro.
Nelle lotte contro i tori, come nelle moderne corride, gli animali erano tormentati dai succursores, che li aizzavano. Era invece compito dei taurarii di combattere il toro a piedi, con una picca o una lancia. In altri combattimenti con i tori erano necessarie abilità simili a quelle dei famosi dipinti cretesi o dei moderni rodeo: cavalieri senz’armi rincorrevano il toro per farlo stancare, e poi gli saltavano addosso per abbatterlo torcendogli il collo. In altre occasioni vi era un elemento comico: il venator appariva nel ruolo di acrobata o di pagliaccio. Animali addomesticati presentavano dei veri e propri numeri: tigri si facevano baciare, leoni catturavano lepri e le riportavano senza ucciderle; elefanti danzavano o camminavano sulla corda.
La popolarità delle cacce era enorme, poiché la caccia era lo sport dei nobili, e rappresentava una vera prova di coraggio per i professionisti che vi partecipavano. Questa passione, forse dovuta anche al fatto che a quei tempi gli animali selvaggi non mancavano ed erano effettivamente un pericolo in molte regioni, perdurò in Europa sino al settecento, e la caccia alla volpe che ancora oggi è una caratteristica della nobiltà britannica ne è un pallido ricordo. Alcuni venatores divennero così famosi che il loro nome è arrivato sino a noi in alcuni mosaici o graffiti. Chissà se la fama degli odierni eroi del calcio sopravviverà per secoli?