L’inaugurazione del Colosseo
fu un evento memorabile: scrive lo storico Dione Cassio (ca. 150-235) parlando di Tito: “La maggior parte delle sue imprese non fu degna di nota, ma quando inaugurò il teatro di caccia e le terme che portano il suo nome offrì molti spettacoli grandiosi. Vi fu una battaglia tra gru, e anche quattro elefanti: animali selvaggi e non furono uccisi sino al numero di novemila; ed anche delle donne (non certo quelle di importanza) presero parte al massacro. Quanto agli uomini, parecchi si affrontarono in combattimenti singoli e parecchi gruppi si scontrarono, sia di fanti che di marinai in battaglie navali. Perché Tito improvvisamente riempì d’acqua proprio quel teatro, e vi fece entrare cavalli e tori e altri animali ammaestrati che erano addestrati a stare nell’elemento liquido così come sulla terra. E vi fece entrare delle navi, con della gente che impersonava i soldati di Corfù contro quelli di Corinto”.
… Questi furono gli spettacoli offerti, che si protrassero per cento giorni; ma Tito provvide anche cose di uso pratico per la gente. Ogni tanto gettava dall’alto del teatro piccole palle di legno, con diverse iscrizioni: una rappresentava del cibo, un’altra abiti, un’altra un vaso d’argento, o forse d’oro, o anche cavalli, animali, bestiame o schiavi. Quelli che se ne impadronivano dovevano riportarle al dispensiere del tesoro, dal quale avrebbero ricevuto gli articoli iscritti.” [Dio Cassius. 65.25].
Ma da dove viene l’idea del completamento da parte di Domiziano? Da una fonte del IV secolo: il cosiddetto Chronographus. Nell’opera Chronica Urbis Romae, scritta nel 354, si trova un catalogo dei re del Lazio, la storia di Roma repubblicana e notizie su Giulio Cesare e gli imperatori fino a Licinio. Le notizie sugli imperatori non sono molte, ma dei Flavi si accenna alla loro attività edilizia. Se per le notizie più antiche la Chronica si riallaccia a Svetonio, non si conosce invece la fonte originaria delle biografie imperiali.
Comunque, il Chronographus dice: Hic (Vespasianus) prior tribus gradibus amphiteatrum dedicavit.
Ovvero che fu Vespasiano a dedicare (inaugurare diremmo oggi) l’anfiteatro con i primi tre ordini di gradinate. E poi: Hic (Titus) amphitheatro a tribus gradibus patris sui duos adiecit. Cioè che Tito aggiunse due ordini di gradinate a quelli di suo padre.
E ancora: Domitianus imperavit annos XVII, menses V. dies V. Hoc imperante multae operae publicae fabricatae sunt; atria VII, horrea piperataria, ubi modo est basilica Constantiniana et horrea Vespasiani, templum Castorum et Minervae, portam Capenam, gentem Flaviam, Divorum, Iseum et Serapeum, Minervam Chalcidicam, Odeum, Minuciam veterem, Stadium, et thermas Titianas et Traianas, Amphiteatrum usque ad clypea, templum Vespasiani et Titi, Capitolium, Senatum, ludos IIII, Palatium, Metam Sudantem et Panteum.
Alla fine secondo questa Chronica la costruzione sembrerebbe ben spartita tra i tre imperatori Flavi; quasi troppo bello. Da profano, quella dei tre imperatori mi sembra proprio una leggenda metropolitana dell’antichità, riportata dal popolino romano e distorta per generazioni (tanto, dopo 50 anni chi rimane per confutare?) come le storie di fantasmi, statue indemoniate e case maledette che mi raccontava la mia nonna romana. Quando le chiedevo quali fossero le sue fonti lei diceva: “si è sempre saputo così”.
Ma torniamo a Svetonio: egli scrive che fu Vespasiano a costruire, tra l’altro, l’anfiteatro:
Vesp. XI,1, Fecit et nova opera templum Pacis Foro proximum Divique Claudi in Caelio monte coeptum quidem ab Agrippina, sed a Nerone prope funditus desctructum; item amphitheatrum urbe media, ut destinasse comperat Augustum.
e afferma che fu Tito a dedicarlo:
Tit., VII,3 … amphitheatro dedicato thermisque tuxta celeriter exstructis munus edidit apparatissimum largissimunque; dedit et navale proelium in veteri naumachia, ibidem et gladiatores atque uno die quinque milia omne genus ferarum.
Di Domiziano riferisce che fu editor di sontousi spettacoli:
Dom., IV,1: Spectacula assidue magnifica et sumptuosa edidit non in amphitheatro modo, verum et in circo, ubi … ; at in amphitheatro navale quoque. E poi … Edidit navalis pugnas paene iustarum classium, … e ancora, costruttore di fori e naumachie: Novam autem excitavit aedem in Capitolo Custodi Iovi et forum quod nunc Nervae vocatur, item Flaviae templum gentis et stadium et odium et naumachiam, e cuius postea lapide maximus circus deustis utrimque lateribus extructus est.
Insomma, confrontando le liste del Chronographus con quelle di Svetonio e di Dione Cassio (che però complica le cose parlando di naumachie, passo interpretato da molti come riferito al Colosseo), gli studiosi (es. Rossella Rea, in Anfiteatro Flavio, Quasar) sembrano dubitare della storiella dei tre imperatori. Il Chronographus ha sviato per secoli gli stessi studiosi, che per esempio hanno attribuito a Domiziano le Terme costruite da Traiano (come in effetti dichiarato dai bolli dei mattoni).
Poi, ci sono gli atti dei Fratres Arvali, che come sappiamo nell’anno 80 si dividevano i posti loro riservati nei vari ordini dell’anfiteatro, persino nel maenianum summum in ligneis. Come avrebbero potuto farlo se non fosse stato completato?
Insomma pare che le notizie diffuse dal Chronographus abbiano tratto in inganno menti eccelse di studiosi (di cui non cito i nomi per carità), che si sono affannati a spiegare che le monete – che rappresentavano l’edificio completo – erano state coniate così per pura propaganda, che negli atti degli Arvali la divisione dei posti era preventiva, e che interpretarono le fonti contemporanee alla costruzione dell’anfiteatro “adattandole forzosamente” (cito R. Rea) a quanto affermato dal Chronographus, che scrisse 250 anni dopo. Ma insomma …