Medio Evo

Studi recenti
hanno dimostrato che sin dal IV secolo si iniziò a spogliare il Colosseo dei suoi materiali, e che per la fine di quel secolo si erano già ostruiti alcuni canali di scolo. Si presume che all’inizio del V secolo il sistema idraulico e fognario nel settore sudovest avesse cessato di funzionare, dato che le tubazioni e le fontane erano state asportate.

Tra gli ultimi interventi di riparazione del Colosseo – risalenti al 484 o al 508 – vi sono quelli promossi dal Praefectus Urbi Decius Marius Venantius Basilius, a sue spese, per riparare l’arena e il podium danneggiati da un terremoto “abominandus”. Le riparazioni di Venantius Basilius all’arena consistettero semplicemente nello smantellamento del restante colonnato, facendo scivolare colonne e frammenti nei sotterranei dell’arena e ricoprendo il tutto con terra.

L’iscrizione di Venantius Basilius

In effetti, quando Carlo Fea nel 1810-14 scavò l’arena trovò tre strade sovrapposte l’una all’altra lungo l’asse maggiore, la più antica delle quali era stata costruita sopra il riempimento di Venantius Basilius.
Successivamente, nel 1874-75, P. Rosa iniziò ad attaccare lo strato più antico – proprio quello di Venantius Basilius – e trovò il 70% delle colonne del portico dell’attico, una quantità di iscrizioni, gli arredi dei vomitoria, blocchi di travertino e di tufo, elementi lignei e parti delle macchine del sottosuolo . Vi erano i resti di circa 20 enormi colonne, con i loro capitelli, cadute dall’alto danneggiando la cavea soprattutto nei settori nordorientale e sudorientale dell’anfiteatro.
Questo diede la prova che dopo il rovinoso terremoto gli ipogei, sino allora in funzione, furono considerati perduti e seppelliti sotto uno strato di terra che nessuno ha disturbato per circa 1.300 anni.

Sebbene l’anfiteatro fosse ancora in uso all’inizio del VI secolo, era ormai sovradimensionato per la ridotta popolazione della città, così i Romani iniziarono a riciclarne i materiali: vi era abbondanza di travertino, che si poteva usare così com’era o cuocere per trarne calce. Tutto venne riutilizzato: le spesse lastre di marmo che rivestivano i corridoi, i blocchi di tufo, il piombo delle tubature, le grappe metalliche che tenevano assieme i blocchi di travertino, persino i mattoni.  Questo spoglio iniziò durante il regno di Teodorico e fu sistematico: le parti inutilizzate o danneggiate del monumento furono smantellate e riutilizzate. Abbiamo poche fonti letterarie o epigrafiche per i secoli VI-IX, pertanto gli archeologi devono capire cos’è accaduto al Colosseo in quegli anni studiando le poche tracce rimaste. A quei tempi l’unica istituzione stabile era la Chiesa, e sappiamo che Papa Gregorio Magno introdusse la pratica di riciclare gli antichi templi e basiliche, convertendoli in chiese cristiane. A quanto pare ciò è provato dal nome scolpito su un pilastro del lato Sudest: “GERONTI V S”. Questo nome è stato riferito ad un importante Gerontius (V S significa VIRI SPECTABILIS) il quale avrebbe ottenuto la concessione per smantellarne la struttura ed utilizzare il Colosseo come cava.

Comunque l’anfiteatro era ancora in uso: nel 519 Eutaricus Cillica (presunto genero di Teodorico) e nel 523 Anicius Maximus celebrarono il loro consolato con le venationes in un Colosseo senza più il colonnato e con altri gravi danni alla cavea, agli ingressi ecc.
In ogni caso le venationes di Anicius furono le ultime. Teodorico gli aveva concesso il permesso di commemorare il suo consolato, ma al tempo stesso aveva definito i giochi “”actus detestabilis, certamen infelix” e aveva incolpato Tito di aver speso tutti quei soldi per un edificio destinato a celebrare la morte. Durante il suo regno la zona venne bonificata, e si costruì una strada al livello dell’arena per collegare il Celio al Colosseo. La valle del Colosseo si era riempita di detriti, poiché le fogne erano fuori uso. Durante la Guerra Gotica (535-553) la città fu più volte saccheggiata dagli Ostrogoti del re Totila. Dicono gli storici che quando Totila entrò a Roma nel 545 vi trovò solamente 500 persone! Fu probabilmente durante la guerra che furono rimosse le grappe metalliche di rinforzo poste tra i blocchi di travertino.

Sembra che per qualche tempo l’anfiteatro fosse chiuso da barriere, ma non si comprende se sia stata una chiusura in attesa di una possibile riapertura o per difendere una proprietà. Successivamente questi cancelli furono rimossi, il corridoio a Nord divenne un passaggio coperto alternativo alla strada che passava all’interno dell’anfiteatro e i corridoi interni furono convertiti in case e stalle.
Per accedere più agevolmente all’arena dall’esterno si scelsero quelli che una volta erano i percorsi dei senatori, che conducevano direttamente all’arena, e quindi si aprirono delle aperture nei muri di fronte all’arena (vedi mappa). Ciò fa pensare che il luogo sia divenuto una specie di piazza lungo l’unica strada tra il Colosseo e il Celio. Molte delle scale furono demolite e l’edificio diviso in settori.
Dal VI al XI secolo questa occupazione dell’anfiteatro fu costante, salvo che in alcuni periodi nei quali prevalsero le attività di demolizione ed estrazione dei materiali

Tra il VI ed il XIII secolo il livello del terreno si alzò di 1,3 metri. Recenti scavi hanno trovato questo strato ancora intatto, nonostante tutte le ripuliture svoltesi nei secoli. Vi sono stati rinvenuti frammenti di ceramiche databili ai secoli XII-XIII. Altri corridoi sono stati attentamente studiati, trovando le tracce dell’utilizzo medievale: un bacino per la preparazione della calce, muri, tracce dell’uso come stalla.

Alla fine del VI secolo la città aveva ormai perso importanza e popolazione a seguito delle ripetute invasioni e saccheggi dell’Italia. Roma contava solo 90.000 abitanti: era divenuta una piccola città concentrata in un minuscolo nucleo circondato da campi, orti, rovine e fattorie, e questa pittoresca condizione sopravvisse sino alla fine del diciannovesimo secolo.

Il Colosseo rimase in quel periodo al di fuori della città medievale, che era raccolta sulle rive del fiume. Ulteriori terremoti nell’801 e nell’847 probabilmente produssero altri danni. L’anfiteatro iniziò a ricoprirsi di vegetazione e vi sono anche storie di animali selvaggi – persino lupi – che avrebbero frequentato il sito. Il livello del terreno era lentamente cresciuto con i secoli, sommergendo buona metà degli archi del piano terreno.

Un’immagine settecentesca

Durante il medioevo analfabeta, ogni memoria dello scopo dell’anfiteatro si era perduta, e la gente iniziò ad immaginare che l’edificio fosse stato un tempio dedicato al Dio Sole, o al demonio. In questo periodo le guide della città descrivono il Colosseo come un tempio rotondo, dedicato a diversi dei, che una volta era coperto da una cupola bronzea, o di rame. Fu allora che iniziarono a circolare molte leggende intorno allo strano edificio rotondo, definito il Palazzo di Tito e Vespasiano, un tempio di demoni, sede di pratiche occulte … ed altro ancora.

Tra la fine del IX secolo e l’inizio del X vi fu un grande sviluppo dell’uso residenziale del Colosseo. L’edificio apparteneva adesso alla chiesa di Santa maria Nova, ed ancora sono conservati i documenti delle vendite e delle locazioni delle case all’interno dell’edificio. Fu in questo periodo che l’anfiteatro iniziò ad essere chiamato Amphitheatrum Coliseum. Vi erano case a uno o due piani (domus solaratae), talvolta con un orto, un cortile ed un camino. Il numero di case crebbe così tanto che ve ne era una fila continua lungo la facciata nord, come case a schiera dei nostri giorni; le tracce dei loro tetti possono ancora chiaramente scorgersi su alcuni archi del piano terra. La massima espansione si raggiunse intorno al 1200. Gli abitanti erano per lo più artigiani: fabbri, calzolai, operai, carrai, calcinai. In questo periodo vi si concentrarono anche i cambiavalute, forse perché era un luogo di passaggio dei pellegrini verso il Laterano, ove allora risiedeva il Papa, tanto che la zone era chiamata contrada cambiatorum.

Nel 1084 un esercito di 36.000 normanni guidato da Roberto il Guiscardo mise a sacco Roma e devastò le zone tra il Colosseo ed il Laterano. La città cadde nelle mani di famiglie baronali che si combattevano costantemente e vivevano in alte torri per garantirsi più sicurezza (alcune di queste torri sono sopravvissute come ricordo del turbolento medio evo). Una delle famiglie più potenti, i Frangipane, occupò il Colosseo che fu trasformato in residenza fortificata e protesse con mura una vasta area tutt’intorno, comprendente il Palatino, il Circo Massimo e per qualche tempo persino La Torre delle Milizie presso i Mercati Traianei nei Fori Imperiali. Il palazzo dei Frangipane al Colosseo occupava due piani sul lato est; tra la fine del secolo XI e l’inizio del XII coestitette con altre case costruite nella parte dell’edificio di proprietà della chiesa di S. Maria Nova.



Nel 1144 il popolo romano bandì le famiglie baronali dalla città, nel tentativo di liberare Roma dall’influenza del Papa e della nobiltà, e di instaurare un Senato come quello degli antichi Romani. Il Colosseo fu allora dichiarato proprietà del libero Comune di Roma. Peraltro, nel 1159 i Frangipane ritornarono e lo rioccuparono. Nel 1216 la famiglia degli Annibaldi tentò di sottrarre la fortezza ai Frangipane; la contesa durò sino alla fine del secolo, quando gli Annibaldi presero il Colosseo ma furono obbligati a restituirlo alla Chiesa nel 1312.

Vi è testimonianza di una specie di corrida con tori, organizzata nel 1332, in cui pare che 18 giovani della nobiltà romana persero la vita, ma l’attendibilità di questa storia è dubbia (v. Delehaye, voce Colosseum in Catholic Encyclopedia).
Nel 1231 parte della facciata sul lato sudovest crollò durante un violento terremoto, ma i maggiori danni furono causati da un altro terremoto nel 1349, che danneggiò grandemente la città e distrusse altri archi esterni dell’anfiteatro. Ne rimane testimonianza in una lettera di Francesco Petrarca. L’enorme massa di detriti fu chiamata “coxa Colisei” e fu utilizzata come cava di travertino sino al XVIII secolo.

Nel  XIV secolo gli Orsini ed i Colonna ottennero il permesso di cavare pietre e marmi. Nel 1362 Gil Álvarez Carrillo de Albornoz, vescovo of Orvieto, lamentava in una lettera al Papa urbano V che non vi erano acquirenti per le pietre del Colosseo e che solo i Frangipane avevano ordinato dei marmi per costruire un palazzo.

A causa delle continue lotte intestine tra le famiglie romane e del conflitto tra papato e corona francese, papa Clemente V lasciò Roma per Avignone. Sette papi risiedettero ad Avignone dal 1309 al 1377. In questo periodo l’economia della città crollò, soprattutto per la carenza di pellegrini, tato che alla fine del XIV secolo la popolazione si era ridotta a 17.000 persone (al massimo della sua espansione imperiale Roma contava 1 milione di abitanti o anche più). La zona divenne ancora una volta un posto pericoloso e violento.

A questo punto il Senato della città decise di bonificare la zona e affidò il compito alla Arciconfraternita del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum, detta del Gonfalone, che già possedeva il palazzo dei Frangipane al Colosseo. Si trattava di una associazione di cittadini pii e rispettabili, che gestiva un ospedale vicino al Laterano e alcune scuole in città. L’associazione fu così efficiente nello svolgimento del compito che per ricompensa ottenne nel 1382 un terzo dell’edificio. Un altro terzo apparteneva alla Camera Apostolica (il principale ufficio finanziario dei Papi) e l’ultimo terzo al Senato di Roma. Vi sono ancora le tracce delle tabelle affisse sui pilastri dell’anfiteatro per contrassegnare le proprietà, così che è stato possibile appurare che le proprietà erano frammentate in tutto l’anfiteatro.

Questa immagine contrassegnava le proprietà dell’Arciconfraternita del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum. E’ ancora lì, incassata in una pietra di volta del Colosseo e ci ricorda che quella parte dell’anfiteatro apparteneva a quella associazione religiosa

Un’altra conseguenza di questo nuovo assetto fu che l’Arciconfraternita ottenne la concessione dell’utilizzo delle pietre, una grande fonte di profitto. Per tutelare la proprietà intorno al 1440 l‘ordine dei Benedettini Olivetani costruì persino due muri per collegare il Colosseo al vicino convento di S. Maria Nova. I muri furono demoliti solo 45 anni più tardi. E’ interessante sapere che la concessione per lo sfruttamento delle pietre fu rinnovata 300 anni dopo, nel 1606, come ricompensa per il dono che l’Arciconfraternita aveva fatto al popolo romano: le pietre del Colosseo per la costruzione del Palazzo Senatorio sul Campidoglio. Peraltro, il documento del 1606 specificava che la vendita concerneva solo le pietre cadute dai piani più alti.

Mappa di Roma di Taddeo di Bartolo, affresco a Siena dipinto nel 1407. La mappa riporta solo gli elementi principali: chiese, colonne, archi, acquedotti ecc.

Nel 1439 altri materiali furono utilizzati per costruire la tribuna di S. Giovanni, e fu in questo periodo che iniziò in grande stile l’asportazione di marmi, tufo e laterizi per costruire innumerevoli chiese e palazzi. E’ riportato che nei soli due anni 1451-1452 si asportarono 2.522 carri, per essere utilizzati nella costruzione di S. Pietro e delle mura della città.

E’ una triste contraddizione che proprio nel momento in cui gli umanisti del Rinascimento comprendevano il valore dell’eredità lasciata dai Romani, la distruzione assumeva maggiori proporzioni, e che fosse proprio il monumento che stavano distruggendo ad ispirare gli artisti che utilizzavano le vecchie pietre per costruire nuovi palazzi.

Continua

Fonte principale per questa pagina: Il Colosseo – AA. VV. – A cura di Ada Gabucci, Electa, Milano 1999

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