Spartaco

Nel 73 a.C.
un gruppo di trenta o forse settanta gladiatori della scuola di Lentulo, a Capua, si ammutinò e fuggì sul Vesuvio. Presto il plotone si ingrossò e scelse come capi Spartaco, Crisso e Enomao.

Mosaico del Gladiatore. Fu rinvenuto in una proprietà della famiglia Borghese a Torrenova, sulla Via Casilina, non lontano da Roma, nel 1834.

Spartaco era un Trace; poco si sa di lui; lo storico Appiano riferisce che era addirittura un soldato romano; poi divenuto prigioniero e schiavo. Floro invece racconta che Spartaco fu un mercenario, e poi soldato, disertore, bandito e infine gladiatore. Molti schiavi fuggirono e si unirono al gruppo di Spartaco, talvolta dopo aver ucciso i padroni, o condussero i rivoltosi alle loro proprietà. La maggior parte degli schiavi era di provenienza italica, ma molti erano Galli, Traci o Germani. Iniziarono con incursioni in Campania, e si impadronirono di parecchie città. Molte città italiche rifiutarono di sostenere i ribelli, e in quei casi presero le città con la forza.

All’inizio le autorità non presero sul serio la rivolta, e giudicarono quel bellum servile indegno dell’invio di una vera legione, così i ribelli poterono tenere in scacco le forze romane per diverso tempo e furono liberi di mettere a ferro e fuoco il sud dell’Italia; successivamente si spinsero verso nord, sino a Mutina (Modena), dove l’esercito degli schiavi sconfisse ancora l’esercito romano guidato da Cassio.

Spartaco allora si diresse verso Roma, ma fu bloccato da Crasso, così fece un largo giro attraverso il Piceno passando ad est di Roma, fino in Lucania. Pare che Spartaco intendesse dirigersi verso la Sicilia, ma non riuscì a trovare i mezzi per attraversare lo stretto, e rimase bloccato nella punta della penisola, vicino a Reggio. Crasso allora tentò di bloccarlo costruendo una fortificazione da costa a costa, ma i ribelli, durante una notte di tempesta, si avvicinarono al vallo e vi ammassarono terra, rami, fascine, riuscendo a far passare un terzo del loro esercito.

Nel frattempo i Romani avevano compreso il pericolo della sedizione, e presero misure drastiche. Crasso, per esempio, ricorse ad una punizione desueta, applicando la decimazione (l’esecuzione di un soldato ogni dieci, scelto a caso) alle legioni che si erano date alla fuga di fronte agli schiavi ribelli. Dopo un’altra sconfitta contro Spartaco, Crasso fece uccidere 4.000 dei suoi soldati, commentando che dovevano avere più paura del proprio generale che del nemico.

Pur se ignobile, pare che il sistema abbia funzionato, poiché nella battaglia successiva i soldati attaccarono con veemenza un esercito di 10.000 uomini, uccidendone due terzi. Altri schiavi furono uccisi in una battaglia nei pressi del lago Lucano, ma la sfida finale avvenne vicino a Brindisi.
Plutarco racconta che prima della battaglia Spartaco uccise il suo cavallo, poiché se avesse vinto, avrebbe potuto avere tutti i cavalli dei Romani; se avesse perso, sarebbe stato inutile. Morirono 60.000 schiavi, solo 6.000 furono fatti prigionieri e crocifissi lungo la strada da Roma a Capua. Il corpo di Spartaco non fu mai trovato.

La morte di Spartaco, di Nicola Sanesi

Le rivolte degli schiavi erano state frequenti negli anni dal 133 al 73 a.C. Nella metà del secondo secolo ve ne erano state parecchie: nel 132 e 104 in Sicilia (una rivolta che durò sino al 99), e in effetti quella di Spartaco fu l’ultima grande rivolta degli schiavi.
La ragione è stata individuata nella grande massa di schiavi che era stata portata in Italia dopo le guerre in oriente. I Romani erano riusciti, con Pompeo e Cesare, ad impadronirsi del lucroso commercio di schiavi del Mediterraneo, che può essere paragonato al mercato del petrolio di oggi (gli schiavi erano energia). E il commercio fioriva: nel più grande mercato dell’antichità, l’isola di Delo, venivano venduti sino a 10.0000 schiavi al giorno.

In Italia, questa improvvisa ed enorme immissione di mano d’opera a buon mercato contribuì alla scomparsa del contadino/soldato che aveva fatto le fortune di Roma e condusse alla concentrazione di enormi latifondi in poche mani, poiché i piccoli contadini non potevano resistere alla concorrenza delle grandi aziende degli schiavisti. In queste grandi proprietà gli schiavi erano spesso tenuti in condizioni pessime, e ciò creava un terreno fertile per le rivolte.

Sappiamo da Seneca che una volta a Roma un senatore propose di far vestire una uniforme agli schiavi, ma l’idea fu abbandonata per prudenza, quando i patrizi si resero conto che gli schiavi avrebbero potuto in quel modo capire quanto erano numerosi.

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